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Finalmente la Luna

Le piante si schiantavano contro il viso raschiandolo, il vento freddo soffiava nella pancia, dei crampi allo stomaco lo rallentavano di tanto in tanto. Aveva perso le ciabatte, ora i piedi erano a pieno contatto con il terreno freddo e fangoso.
I rami continuavano il loro da farsi su tutte le gambe, Stefano non si fermava per nessun motivo, nemmeno quando sentii una spina conficcarglisi tra il pollice e la pianta del piede. Continuava impavido sostenuto dall’adrenalina e dalla paura di tornare indietro.
Il filare era ormai terminato, si cominciavano ad intravedere le sporadiche macchine delle quattro di notte.
Proseguiva, alternando il pensiero dell’errore con quello cella libertà, ogni attimo cambiava.
Sperava che arrivato al cemento avesse provato quella sensazione di sollievo che tanto bramava. La luna si stagliava alta in cielo sembrava che tutto quel freddo provenisse da lì, da quel colore pallido che illuminava tutta la campagna, doveva arrivarci! era quello l’obbiettivo.
La maglietta della salute che indossava si era ormai ricoperta di fango, come del resto tutte le gambe che continuavano a muoversi senza controllo, correvano, stanche e tese.
Stefano non era mai stato uno sportivo, il respiro affannato ed il cuore in gola ne erano la dimostrazione. Perché farlo allora? Era la stessa cosa che si stava chiedendo lui, nel rendersi conto che ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Pensava a tutto ciò che era successo prima. La litigata, la notte, la stanza chiusa a chiave, la rabbia, e la voglia di farla sparire.
Stefano aveva rubato le chiavi avvicinandosi nel buio, cercando ossessivamente di distribuire il peso del corpo lungo tutta la pianta del piede, per fare meno rumore possibile.
Con un taglierino rubato la mattina stessa, aveva tagliato il cuscino preso le chiavi e, come un verme, aveva strisciato sino alla porta.
I respiri erano tanti ma, nessuno in quel momento, era abbastanza caldo da fargli cambiare idea. Forse girò la chiave troppo forte, perché Sandro, che aveva il letto adiacente la porta si era per un attimo ridestato. Quel rumore di coperta bloccò Stefano per permettere al terrore di farla da padrona, finché non riuscii ad uscire e a richiudere gli altri dentro. In quel momento i passi di danza sparirono non c’era più spazio per le leggerezze.
Le tre rampe di scale sembravano infinite, si chiedeva perché non avesse mai imparato a scendere giù per il bracciolo, come in uno di quei film americani.
Il terrore di essere scoperto aveva già cominciato, spalmandosi lungo tutto il corpo appiccicandosi alle caviglie, aveva reso queste friabili e deboli , tremavano.
Sembrava non essersene accorto nessuno effettivamente, ma Stefano era convinto che tutto il capannone fosse già alla sua ricerca. Lasciò perdere le tattiche silenziose e cominciò a correre.
Le cose passavano di fianco veloci, la stanchezza era sparita, si sentiva come se la dote della corsa gli fosse stata donata quella notte.
Le casette in legno mostravano rapide i loro numeri, Stefano le guardava per il tempo che gli era concesso dalla fuga.
L’adrenalina aveva cominciato a bagnarlo con il sudore freddo, che aumentò quando un cane, nel vederlo, lanciò due piccoli brontolii di abbaio che però Stefano tradusse in un allarme assordante.
I pensieri si accavallavano disordinati.
-C’è l’ho fatta!-
-Che cosa sto facendo!?-
-Tornassi indietro!?-
-Dai ora mai ho capito, posso finalmente avere l’opportunità di ricominciare d’accapo-
-Se mi trovano!? Forse un po’ lo vorrei!?-
-Cazzo e quando lo vengono a sapere i miei !?-
La vista del villaggio e delle sue casette così ben ordinate sparì, lasciando spazio all’angoscia e all’istinto di sopravvivenza.
Anche i pensieri si interruppero quando la ronda gli passò di fronte, non l’aveva visto, ma Stefano era convinto di sì.
Girò l’angolo, si accorse lì di aver perso le ciabatte lungo la strada.
Vide le vigne e vi si buttò rapido.
Era arrivato finalmente all’obbietivo, era più vicino alla luna, ma non si sentiva libero come avrebbe voluto. Non capiva, voleva scacciare qui pensieri inutili, la vita era la sua, lui era lì per se stesso non per gli altri, perché dedicare anche solo un minuto per dei rimorsi? per di più verso gli altri!? Perché mai? Stefano schiacciò con il peso dell’indifferenza, aiutato dalla menzogna, ogni sorta di dubbio.
Nel frattempo, il pallore della luna sull’asfalto di fronte a lui cominciò a contendersi la strada con gli abbaglianti delle Renault. Stefano aveva capito. Erano partiti a cercarlo. Come avevano fatto?! era stato il cane!? la ciabatta!? la chiave!? cosa !?. Il panico lo prese di soprassalto. Si è vero. Molto probabilmente sarebbe bastato gettarsi a terra, aspettare fino al giorno dopo e andarsene. Questi sono però ragionamenti di chi è calmo, e non di chi, con una maglietta della salute e mutande a Gennaio corre per dei campi, alle 4:00 di notte.
Non c’era stato niente di ragionato di quello che aveva fatto Stefano quel giorno. Lui se ne stava rendendo conto, forse in mezzo a quei respiri stanchi, consapevoli del fatto che il domani sarebbe stato duro come lo ieri, tra quegli aliti che in certe notti tanto odiava, c’era qualcuno. In quel momento ne era sicuro, ma ormai era troppo tardi. Continuava a ripeterselo. Ricominciò a correre a scappare, forse più da quei pensieri che dalle macchine, un pianto di nervosismo lo accompagnò lungò tutta la strada. Voleva che qualcuno lo fermasse, non ci sarebbe mai riuscito da solo, voleva che qualcuno lo prendesse, voleva che quel tremore alle caviglie sparisse, voleva veramente fare qualcosa di buono della sua vita, voleva tornare indietro, avrebbe cambiato tutto, avrebbe cominciato ad ascoltare, avrebbe cominciato a provarci, voleva cambiare tutto.
La stanchezza era arrivata, l’adrenalina era finita, la rabbia era sparita. Le gambe cominciarono a rallentare, finalmente. Era tornato tutto come prima. Tutto alla realtà.
Stefano si era piegato, appoggiando le mani alle ginocchia come dopo un lungo allenamento, solo che le gocce non cascavano per terra, il freddo le congelava all’altezza delle tempie. Poteva sentire il battito del cuore frenetico, sentiva il pulsare di tutte le vene mischiato ai rumori della notte, fissava la strada, si chiedeva perché non si fosse buttato nel mezzo delle campagne piuttosto che continuare a corrergli vicino. Era fermo, quando un rumore di finestrini lo distolse da tutti quei particolari.
-E tu che ci fai qua!?- era un omone baffuto, dai denti perfetti e dalle sopracciglia spesse, perfettamente in tinta con i capelli scuri squamati da dei piccoli ciuffi grigiastri.
-Fa freddo a quest’ora così !- era il tipo della comunità, quello del discorso.
Stefano, nel frattempo che l’omone parlava, lottava con se stesso, pensava di ricominciare a correre, magari di assalire l’omone e prendere la macchina, o magari cominciare ad urlare finché lui non se ne andasse, ma non fece niente di tutto questo. Stette zitto e ascoltò, non tanto le parole e nemmeno le prediche, o i consigli su ciò che sarebbe stato della sua vita se avesse scelto di andarsene ma, più che altro, gli piaceva l’idea che qualcuno alle 4:00 di notte fosse lì per lui, che finalmente qualcuno aveva assopito quel vociferare che aveva in testa. Quella voce era calda a discapito della stagione e del sudore congelato era calda! era viva, era calma, era amica. Tutto era finalmente mite e addormentato come la notte a sempre consigliato a tutti – Sali in macchina.. dai su! che cazzo scappi a fare a quest’ora mi hanno svegliato di botto! dai su monta…. Guarda tè questo, te la sei pure studiata male…-
Stefano continuava a guardare dal finestrino la strada, effettivamente era stata lunga, pensava tra se e se, mentre quello parlava. –Non mi fanno nemmeno i fanali… se ci beccano… fortuna che stanotte c’è la ….- Era ferma impassibile di fronte a loro, illuminava ancora la strada, per tutta la notte, ci si stavano avvicinando come voleva lui, finalmente la pace …. Finalmente la LUNA.


26 Agosto 2014
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