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La fortuna è per pochi

Era la sua notte.
Era una vita ormai che stavamo insieme.
Sabato sera, macchina di Francesco, musica di Mirko, Fumo di Jacopo, Pasticche di Filippo. Coca e roba le portavo sempre io.
Il viaggio era stato un bel preludio, un vago assaggio dei passatemi di ognuno di noi, eravamo scesi dalla macchina rumorosi e sconquassati, il vociferare della gente, la musica che riecheggiava sorda per tutto il parcheggio, non bastò a distogliere l’attenzione da noi, tutti si girarono all’unisono per vedere chi fossimo.
Non li biasimo, giravamo con la Clio di Francesco, nera, con il cofano verde fosforescente, il pezzo originale l’aveva perso in un incidente, d’altronde lui era sempre quello che esagerava prima ancora di averne la possibilità, quello a cui spettava di più, il proprietario della macchina, devo ammettere che delle volte se ne approfittava pure.
Mirko era quello che scendeva per primo, non gli piaceva a lui rovinarsi prima della serata, solo qualche cannetta; lo stesso non si può dire per Jacopo che, nell’uscire, cadde rovinosamente, forse era stato lui infondo ad attirare l’attenzione. Poi c’ero io, quello che ridendo, tirava su Jacopo quella sera.
Schiuma party. Era 1:30
-Ragazzi voi aspettate qui un attimo-
Ci fermavano sempre all’ingresso, controllavano tasche, pantaloni, giubbotti, poi trovavano sistematicamente qualcosa, ci allontanavano, ci chiedevano i documenti, gli ritornava in mente il nome Francesco, qualche rapido collegamento si guardavano tra di loro e poi…………. -Il figlio del proprietario dell’albergo qui di fronte- diretto discendente di quello che portava la maggior parte della clientela.
Ci facevano passare, accompagnando le nostre sagome fino al centro della pista, finche non ci disperdevamo tra le centinaia di corpi danzanti.
Le ore passavano, ogni tanto qualcuno di noi alzava la mano in mezzo alla pista, in segno di attenzione. Come se quella mano fosse miele, e noi le api, ci radunavamo, lo sapevamo, era il momento.
Sgusciavamo frenetici scoppiettavamo via, fuori dalla folla come pop-corn.
Poi ci rintanavamo in qualche bagno, fumavamo, bevevamo, tiravamo, iniettavamo ogni cosa con cui fosse possibile farlo.
Schiuma party. Si, eravamo il gruppo dei molesti, dei rompicoglioni, eravamo quelli che, se guardavi le nostre ragazze ti picchiavamo senza ragione, delle ragazze non ce ne fregava niente, di te, nemmeno.
Schiuma party, schiuma negli occhi, gente sbadata, persone che inciampano, magari contro di noi, forse contro Mirko.
Minimal, i bocchettoni cominciano a vomitare schiuma. Bianca, soffice. L’odore mi fa lacrimare gli occhi, i ragazzi cominciano ad innervosirsi, il party si fa pieno di grida di gioia e di stupore, anche se tutti sapevamo che ci sarebbe stata quella maledetta schiuma.
I bocchettoni vengono direzionati contro il cielo, notte, aumenta il ritmo, ora la schiuma cade da lì, dall’alto, prima sale poi scende lenta, tipo paracadute.
Mirko, esatto, è contro di lui che quel ragazzetto biondo aveva sbattuto.
Sicuramente sarebbe partito tutto lo stesso, nessuno lo mette in dubbio, ma quel –Che cazzo fai?!- aveva reso tutto più rapido, tutto più giustificato del solito.
Ci guardammo prima tra di noi, come a coordinarci per il miglior risultato.
Il biondino fece lo stesso con i suoi amici che erano dietro di lui.
Tutti ragazzi sulla ventina.
Schiuma party. -A chi?!- chiese Mirko. Era strano, si sentiva come se ciò che stesse per fare fosse stramaledettamente giusto. I due si guardarono dritto negli occhi, insieme a quelli di un’altra decina di persone che, nel vederli, si erano radunati lì in mezzo.
Mirko non era grosso, anzi, si poteva pure pensare di avanzare ordini e pretese con uno del genere. Diciamo che era il tipo che tutti avrebbero voluto picchiare davanti ad una ragazza, facile, gracile.
Continuavano a fissarsi, finchè il biondino non si girò dicendo -Non mi ci metto neanche- sbofonchiando un sorriso, cercando il consenso dei suoi amici alle spalle.
Mirko appoggiò la sua piccola mano tatuata sulla sua spalla, il biondino si girò come se non stesse aspettando altro.
Filippo era di fianco a me, prima di prendere la rincorsa con due rapidi passi di indietreggiamento e sferrare un pugno dritto dritto contro il naso di quello, si abbassò all’ultimo, il colpo lo prese quindi tra gli occhi.
Schiuma party, esclamazioni, minacce, sguardi, e tutto cominciò come sempre.
Lui cadde, Mirko e Filippo continuavano a dargli calci, forti, continui, come se stessero cercando freneticamente qualcosa tra le sue ossa. Non trovarono niente.
Gli sguardi, eravamo in cerchio. Cani. Lì in mezzo sta arrostendo la miglior carne, iridi allampanate, un toccarsi tra di noi scalcianti, come per dire -Aspetta il momento giusto per intervenire-.
Mascelle che si stringono, pugni che seguono l’esempio, l’adrenalina è lì, a un passo da noi.
È arrivato il momento, tutti corrono, tutti sbracciano, tutti si lanciano per prendere un brandello di quella carne, deve essere buona, è arrivato l’odore anche a loro.
Urla, suoni strozzati dai pugni, io lì in mezzo, mi sento niente non ho obiettivi se non quello di sferzare l’aria che mi circonda con il mio corpo, non importa come, colpisco, non importa cosa.
Cominciamo a confonderci con la schiuma, mi è entrata negli occhi, smetto di vedere.
Sento le urla di chi era venuto semplicemente per fare qualcosa di diverso, per divertirsi, si stavano allontanando. Anche qualche ragazza finisce in mezzo. Buio.
Per un attimo penso sia la schiuma, provo a togliermela dagli occhi, capisco che non è stata lei a gettarmi a terra. Sono steso appoggiato sul mio braccio destro, qualcuno mi ha preso, non so chi, ma qualcuno lo ha fatto, e bene. La vista è appannata dalle droghe, dall’alcool, e dai pugni. –Ilario, tutto bene!?- era Francesco, il labbro inferiore perdente sangue, lo zigomo gonfio, mi sorrise esaltato e mi tirò su per il braccio, io stetti in piedi barcollante, mi guardai intorno, ero come un albero nel bel mezzo di un uragano, vacillante scivolavo da un lato all’altro.
Tutto era più lento.
Jacopo continuava a colpire intorno a sé, era lui che aveva steso la ragazza quella sera.
Mirko e Filippo erano ancora lì sul biondino, cercava di coprirsi il volto, ormai era quasi svenuto. Si vedeva però che erano stati interrotti, i tagli e i rigonfiamenti ne erano la conferma, ma comunque erano riusciti a tornare al loro sfogo serale.
Francesco quella sera aveva bevuto tanto.
Poi si era fatto, tanto.
Infine si era arrabbiato. Tanto.
Cocaina, ha uno strano effetto sulle persone.
Francesco quella sera non aveva segni in corpo, se non quelli degli altri sulle nocche, le mostrava fiero come se ognuno di quei tagli fosse un premio, i ricordi di un grande condottiero, una medaglia al merito, questo lo rendeva ancora più intrepido, e sicuro che quella, era la sua notte.
Schiuma party.
Sono le 2:45 è ormai dieci minuti che continua tutto.
Io mi sono ripreso. Ero di fianco a Jacopo quando uno mi si avventò addosso da dietro, ero di fianco a Jacopo quando Francesco caricò un pugno contro quel ragazzetto riccioluto.
Ero di fianco a Jacopo quando vidi la schiuma volare via dai ricci, come se quella lo stesse abbandonando.
Era l’unico che non ne aveva più addosso.
Il rumore fu unico, secco, impertinente a tal punto da farmi voltare immediatamente. Toccc…..
Francesco vantava uno di quegli sport di lotta che vanno di moda ora, una stazza non indifferente, nemmeno alla questura, che più volte ne aveva arrestato l’avventatezza.
Non ero l’unico che si era reso conto della cosa.
Il colpo inferto gli fece tremare la testa che, da un momento all’altro perse la sua solidità, il collo era diventato gomma cadendo su se stesso. Poi le gambe si stavano svuotando di tutto ciò che le sosteneva, un grosso grattacielo vuoto divorato da milioni di termiti, casca lento.
Poi il baricentro cambia, non c’è più spazio per crollare, ora bisogna cadere, i ricci non bastano hanno forma, ma non sono molle, non lo rimbalzeranno su, non allargherà mai le braccia e le mani dicendo- Uhalà!! ecco a voi la magia!-. Resterà lì, fermo, infrangendosi contro il cotto. Sarà un rumore inverosimile, una vista insopportabile, tutti si gireranno, c’è chi scapperà via come se già fosse tutte scontato, c’è chi invece resterà lì fermo, chi piangerà e chi, come Francesco, proietterà la sua vita in un giornale, in un tribunale e poi infine in un carcere.
Il sangue aveva cominciato a dipingere il pavimento, scorreva piano, ma inarrestabile. Le punte dei ricci ne erano ormai sommerse, eravamo pietrificati, lo sballo era solo un vago ricordo; era scivolato anche lui via, lo spazio serve per la paura, per le immagini.
Non siamo più cani rabbiosi, la bava non c’è più, l’adrenalina è scomparsa, la carne è finita, cominciamo a sentire il dolore delle botte, cominciamo a renderci conto che qualcosa è andato storto, cominciamo a renderci conto che la carne è andata a male.
Arrivano i buttafuori, era come se avessero interrotto il contemplare della gente, a quel punto si comincia a urlare a piangere, a spaventarsi. Le persone si pongono domande.
-Chi è stato?-.
Gli sguardi denunciano tanto quanto le parole, il colpevole. Francesco. Quello che mena.
-Manuel!!- ecco come si chiama quel ragazzo, gli ho dato finalmente un nome, Manuel.
Era la sua ragazza penso, si era accovacciata di fianco a lui, gridava di chiamare qualcuno, nessuno aveva la prontezza, tutti ragazzini, qualcuno impallidito, ci pensano i buttafuori, forse troppo tardi si fanno vedere. Tempo 4 minuti e la pista cominciò a tingersi di giacche fosforescenti, accerchiarono la ragazza, e Manuel.
Come un’onda portarono via il ragazzo, lasciando lei lì, ancora aveva le braccia nella stessa posizione di prima, come se Manuel fosse ancora tra le sue cure.
Nessuno gli disse di non toccarlo, sapevamo bene che era già finita prima ancora di cominciare. Rimase li, adolescente, imbrattata del ricordo del suo ragazzo, ora comincia a piangere, forse è più la memoria che la perdita che ci addolorano.
Mi sono fatto schifo, ho inevitabilmente pensato alla fortuna che ho avuto a non sferrare quel colpo.
Poi ho gettato la spugna, mi sono detto che non l’avrei mai più fatto mi sono detto che la morte fa schifo ma è inevitabile, mi sono detto che, appunto per queste cose, ne resterò il più lontano possibile.
Poi penso di nuovo a lui, crollo anche io, l’unica differenza? Le termiti non smettono mai di mangiarmi, gli occhi non smettono mai di tradirmi e di scagliarmi la sua immagine ovunque, un po’ come le strade per Roma, tutti i ricci che vedo mi riconducono a lui, alla sua ragazza. Senza scrupoli arriva la fantasia e l’immaginazione, mi portano dentro la casa della famiglia di Manuel, in un sabato sera alle 3:30. Lavora e crea, raggela, e scopre che è realtà. Continua a proiettare una telefonata, uno squillo duraturo, loro dormivano, poi arriva la consapevolezza che un ragazzino esaltato, “un condottiero” ha ucciso tuo figlio con un pugno, ad uno Schiuma party. Arrivano i pianti! Spostatevi tutti!, no tu no!…. Dolore !…tu resti qui!. Resti solo tu di Manuel, non potrai mai più andartene via.
Lui è morto, Francesco è in carcere, Mirko e Filippo ci andranno dopo qualche anno per spaccio, Jacopo troverà un lavoro e avrà una famiglia normale, io non toccherò mai più nessuno e sognerò Manuel e la sua ragazza per sempre, racconterò questa storia e piangendo dirò a tutti che è sempre meglio non rischiare, il mondo è piccolo e la fortuna è per pochi.
Non sfidiamola.

KIDANE GRIANTI


7 Agosto 2014
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