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Guardati allo specchio

Dimmi perché ti comporti così? Hai forse dimenticato che siamo cresciuti insieme? Ricordi quelle foto delle nostre mamme col pancione? Ho sempre pensato che fossimo amici già allora, come puoi non renderti conto di niente?”
Le parole sono taglienti, arrabbiate, frecce velenose che squarcerebbero anche il cuore più duro.
Ma non il mio.
Anzi.
Mi verrebbe da prenderlo per il collo e attaccarlo contro il muro. Non sopporto quella tranquillità che ostenta. Fra i due è sempre stato lui quello ad avere il carattere più incandescente, attaccabrighe. Quante litigate furiose per delle banalità, per delle stupide incomprensioni. Urlarsi in faccia le cose peggiori, tenersi il muso come i bambini e poi, dopo qualche giorno, ritrovarsi alla solita tettoia vicino al mare. Una canna, una birra e un bel calcio al pallone e ai rancori. Eppure qualcosa mi fa pensare che tutto questo non basterà stavolta per dimenticare. Il mio migliore amico, il mio “fratellino” come l’ho sempre chiamato mi sta voltando le spalle e pare proprio che non voglia più girarsi a guardare indietro. Questo mi fa paura…
“Ma allora proprio non capisci, quella roba ti sta distruggendo il cervello…”
“Come ti permetti, chi sei tu per giudicarmi?”. Non lo sopporto più. Non voglio più sentirti parlare.
Un gesto d’impulso, un attimo di follia, un black out improvviso nel filtro del pensiero e senza nemmeno rendermene conto la fantasia maligna diventa realtà. Lo prendo per il bavero del cappotto e lo schianto contro la parete. Non posso credere che quello sia io. No, no, io non sono mai stato un violento. Odio il solo pensiero di poter fare male a qualcuno. La violenza che ho subito da bambino mi ha portato a rifiutarla in maniera netta, senza compromessi. Eppure, Cristo santo, eppure sono proprio io quello che sta minacciando, e per giunta il suo migliore amico.
La sua faccia si tira improvvisamente, tanto che sembra sul punto di strapparsi.
La sua espressione si è trasformata in una smorfia digrignante, terrorizzata.
Davide conosce la paura. Del resto quante cazzate abbiamo fatto insieme. Dopo le canne sono arrivate le pastiglie, poi la coca. Casini, furtarelli, spaccio, corse in motorino. Un escalation di sfide sempre più grandi per dire al mondo che non sarà certo la paura a fermarci. Però gli anni passano, la testa cambia, comincia a capire, a maturare. Peccato che questo succeda solo per Davide. Io ho continuato a non voler capire. Ma non potevo accettare di dover continuare il mio viaggio all’inferno da solo.
Attimi d’interminabile, raggelante silenzio. Davide prova a dirmi qualcosa ma le parole gli si strozzano in gola.
Poi, la mia mano, lentamente allenta la presa sul colletto mentre la vergogna mi stringe, mi stritola. “Sss…scusa non volevo…non so come sia potuto…”
Mormoro qualche parola confusa. Le mani, piene di vergogna, tornano in tasca. Davide è pallido, provato. Provo a ricompormi, ad assumere una parvenza di dignità, ma più ci provo più mi sento sporco. I movimenti si fanno goffi e impacciati. Azzardo un abbraccio riparatorio, ma Davide mi scansa, pieno di ribrezzo. Rimaniamo lì a fissarci inebetiti per qualche secondo. Poi gli sguardi si abbassano. Davide riprende un po’ di colore.
“Non scusarti, fai una cosa, quando vai a casa guardati allo specchio, ma non per farti figo come sei abituato a fare. Fallo per vedere l’uomo di merda che sei diventato e che sarai.
Anzi, fallo per vedere il bambino presuntuoso che sei rimasto…Ciao”

14 Luglio 2016
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