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Naso rosso

Mi preparo prima di aprire quella porta di vetro, portando con me tutta l’esperienza e gli studi universitari fatti in questi anni. Respiro forte. Sono davanti all’ingresso dell’ospedale. Cerco di essere l’uomo più positivo del mondo. A dire la verità non mi viene sempre molto facile. Anzi, faccio fatica ad esserlo di fronte alla cattiveria dell’ essere umano e a un mondo che non è come vorrei, ma so che avrò di fronte a me una persona che ha bisogno solo di energia, di pensieri leggeri e di entusiasmo. Devo dare il meglio di me, affinché possa vedere attraverso quello che riuscirò a trasmetterle il bello del mondo. In fondo l’ho scelto. E non vedevo l’ora di arrivare a questo giorno ed aprire quella porta. Un altro respiro. Ancora più forte. Ho paura di non essere in grado, ho paura di lasciarmi andare troppo, paura di entrare in un vortice di emozioni che mi trasportano in una sofferenza profonda, forse perché ci sono già passato, e so cosa vuol dire affezionarsi a una persona. Condividere tutto con qualcuno vuol dire gioire, ma anche provare dolore per essa. E’ strano stare male per un male che non è il tuo. In maniera così forte ed intensa. Eppure succede ogni volta dentro di me. Ok mi concentro. Cerco di non farmi prendere troppo dai mei pensieri con le emozioni che li amplificano e il passato che li conferma. Mi spettino i capelli ma non troppo, sennò sembra che quello da curare sono io, mi metto un bel naso rosso e con tutta la mia spontaneità apro la porta. Prendo l’ascensore. Di fronte a me c’è una stanza molto luminosa con delle finestre molto grandi, quattro letti singoli, bianchi, uno di fronte all’altro, pavimento a quadroni azzurrino confetto. C’è pace, silenzio. E si sente forte un profumo di fiori di campo. Uno dei letti è tutto sfatto. Vicino c’è un comodino con sopra un vaso bellissimo. Non mi aspettavo minimamente quest’ambiente, questa luce, questo profumo, insomma tutto questo. Sono al centro di una stanza del reparto di oncologia pediatrica nell’ospedale centrale di Napoli, la mia città. La stanza è vuota. Non c’è nessuno. ‘Bu, paura eh!!!’. Da sotto il letto sbuca una creaturina divertita. La guardo sorpreso per quello spirito insolito e allo stesso tempo imprevedibile. Non mi sarei mai immaginato un simile stato d’animo. ‘Ha dieci anni’, mi avevano detto. ‘E il cancro se la sta portando via. Sta vivendo tra ricoveri e terapie pesantissime’. La guardo, è così piccola, così fragile all’apparenza, ma dentro nasconde una forza che lega l’importanza della vita al suo destino inesorabile. Di certo non esistono lauree, diplomi e master che ti preparano a certe cose. Ci sono entrato dentro questa esperienza, ormai è il momento di sporcarsi le mani e di rimboccarsi le maniche ancora di più, perché stavolta voglio andare fino in fondo, lo voglio, perché lo sento da dentro. Si presenta a me in modo insolito, avvicinandosi con il suo visino dolce e sicuro, arriva a toccare la punta del mio naso, e mentre condivide con me un nasino-nasino mi dice il suo nome. Lana. La osservo. Sembra un maschietto. Non ha i capelli, ha un pigiamino lilla, con degli orsacchiotti beige sopra, ha una voce intensa, importante. Quando ti rimangono sei mesi di vita dai importanza alle parole, ai gesti, all‘essenza dei sogni. Ha degli occhi bellissimi che non ho mai visto prima. Il colore mi ricorda un mare d’ inverno malinconico, tendente al grigio, con dei riflessi di acqua specchiata da rocce verdi, vissute che contengono la storia del mondo. Lo sguardo, secondo me, non è altro che il mezzo di comunicazione tra l’anima muta e chi si ferma per ascoltare. Momenti sospesi.
‘Come ti chiami?’. Lana è seduta sul letto ora. Le gambe incrociate, i gomiti sulle ginocchia e i pugni piccoli piccoli che le sorreggono il mento. ‘Naso a cipolla’, le rispondo. Ride. ‘No!. Non il nome che hai quando ti metti il naso rosso. Voglio sapere quello vero. Quello con cui ti chiamano la tua mamma, il tuo papà, i tuoi amici, la tua fidanzata”. I suoi occhi si fissano nei miei. ‘Ce l’hai la fidanzata?’. Un lieve rossore compare sul suo faccino. Si porta la piccola mano davanti al viso per nascondere un sorriso innocentemente malizioso. ‘Mi chiamo Gennaro. E la fidanzata….Beh! C’è tempo. Ora ho altre cose a cui pensare. Però ho tanti amici’. Con la mente li cerco. Li rincorro. Amici? Quali sono i miei veri amici? La sua voce interrompe i miei pensieri. ‘Come si chiamano i tuoi amici? E il tuo migliore amico? Cosa ti piace di loro?’ Domande dirette. Semplici. A cui basterebbe dare risposte semplici, dirette. Immediate. Ma non arrivano. La mia mente si perde e perde tempo nel rincorrere nomi, volti, situazioni. Lana non aspetta la mia risposta. ‘Sara è la mia migliore amica. Mi manca tanto. Stavamo insieme tutti i giorni. Ora mi viene a trovare. Quando può. Ha i capelli bellissimi. Ricci. Tantissimi. E una risata che mi fa ridere da morire. E quando inizia, io le vado dietro e non la smettiamo più. Ridiamo, ridiamo, ridiamo. Anche io ho tanti amici, ma lei è speciale. Quando c’è Sara è tutto più bello. Quando viene a trovarmi mi racconta tutto quello che fa. Mi sembra di essere anche io con lei. E ridiamo, ridiamo come matte’. La ascolto, mi perdo nelle sue parole, nei suoi sorrisi, nei suoi occhi che si illuminano. Non ho mai aperto la mia valigetta piena di giochi, di colori che avremmo dovuto usare insieme. E’ rimasto tutto lì. Mentre il tempo è volato. ‘Mi racconti del tuo migliore amico la prossima volta che vieni da me?’ Sergio. All’improvviso mi torna in mente Sergio. Avevamo 10 anni. Come Lana. Ci salutiamo. Domani tornerò da lei. Apro la porta di vetro. Mi allontano lungo i viali alberati dell’ospedale. Sono felice e scombussolato. Domani le racconterò di Sergio, di quando…Mi viene da ridere. Sembro matto. Rido, rido, mentre cammino. E non la smetto più.
Gennaro

9 Agosto 2016
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