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Oltre il WeFree Day

Centottantamila studenti hanno assistito, in questi ultimi otto anni, agli spettacoli di prevenzione in tutta Italia. 6.000 hanno visitato nel solo 2009 la comunità. 500 al giorno si collegano al sito internet www.wefree.it, partecipando a blog e forum online. 2.000 hanno preso parte al WeFree Day, giornata dedicata alla libertà dalla schiavitù delle droghe. Dietro questi numeri, c’è l’impegno di un gruppo di ragazzi che progettano e realizzano, con professionalità ed entusiasmo, gli interventi di prevenzione di San Patrignano. E c’è la guida di un quarantenne padovano, tossicologo forense, che da ormai 14 anni ha reinventato se stesso, cercando per la comunità nuove modalità di comunicazione. Gianpaolo Brusini è la persona giusta per parlare del WeFree Day, appena concluso. «L’edizione di quest’anno ha avuto al centro il tema della consapevolezza, ponendo l’accento sui danni provocati dalle droghe non solo all’individuo e alla sua famiglia, ma anche al contesto sociale in cui vive. In particolare ci siamo concentrati sui disastri provocati nei paesi produttori e distributori, che oggi sono anche consumatori: parlo di violenza, guerre, sfruttamento, danni ambientali, riduzione in schiavitù delle persone».

Qual è l’aspetto che ti ha più colpito di questa giornata?
La facilità di ragazzi, provenienti da tutto il mondo di sentirsi uniti condividendo dei principi, indipendentemente dalla loro condizione sociale e dal contesto di appartenenza. Musica, danza, internet sono modalità espressive comuni. Ciò dimostra che esiste una possibilità di cambiamento, partendo dal basso, da ragazzi sui cui la gente forse non scommette più.

Sono venuti 2.000 studenti da tutta Italia. Qual è stata la loro impressione?
I ragazzi hanno reagito come, in qualche modo, pensavamo: con un moto quasi di sorpresa, perché non si aspettavano che determinati principi, determinate posizioni valoriali, potessero essere esposti con modalità così giovani, adatte ai loro toni. L’abbattimento della barriera di pregiudizio è avvenuta attraverso la mediazione delle emozioni, che hanno reso i ragazzi molto più partecipi, complici, desiderosi di saperne di più. Anche nel contraddittorio con personaggi per certi versi inusuali come il fotoreporter Vernaschi e lo “sbirro” Langè, è stata evidente la loro voglia di esserci e partecipare.

Quali sono gli aspetti della giornata più riusciti e quali andrebbero migliorati?
Mi ha colpito la mescolanza assolutamente informale tra studenti, personaggi del mondo dello spettacolo e della politica, operatori sociali internazionali, in particolare nel momento dell’abbattimento del muro (ne parliamo nel poster, ndr). Riguardo al forum “istituzionale” è possibile apportare miglioramenti, con l’aggiunta di personaggi più vicini ai ragazzi. Sarebbe stato interessante, parallelamente, creare uno spazio di confronto fra gli studenti e i gruppi artistici e musicali che sono venuti da tutto il mondo: dare loro l’opportunità di raccontare cosa fanno di concreto sul loro territorio nel combattere il disagio, strappando i ragazzi dalla strada e mostrandogli un’alternativa.

Cosa ti hanno insegnato otto anni di esperienza negli spettacoli di prevenzione di San Patrignano?
Soprattutto che non ci si deve fermare alle apparenze. Spesso sui media viene dipinta una generazione senza alcun interesse, dedita esclusivamente alla violenza, all’imbecillità, alle droghe. Ciò in parte è vero, ma è altrettanto vero che non esiste un reale sforzo di avvicinamento al mondo giovanile. I nostri spettacoli dimostrano chiaramente come la gran parte dei ragazzi sia molto più interessata e appassionata di quanto si possa pensare. E, probabilmente, desiderosa di schierarsi e dare una propria opinione. Questo vale non solo a teatro, ma anche dopo, attraverso il mantenimento dei contatti e la community sul web, wefree.org, aggiornata quotidianamente.

Qual è, secondo te, la forma di prevenzione per i giovani più efficace?
Può andare bene qualunque forma di contatto. L’importante è che porti al coinvolgimento emotivo e all’identificazione della persona. Ciò avviene molto bene attraverso il linguaggio teatrale, raccontando storie vicine al mondo dei ragazzi, oppure attraverso la musica, la danza o altre forme espressive. Comunque, tutte queste modalità devono prevedere un certo grado di interattività, cioè spingere lo spettatore a identificarsi e partecipare a ciò che stai facendo. In questo senso, il mezzo televisivo ha un grosso limite. Credo che modalità più dirette siano abbiano una maggiore efficacia.

WeFree non è solo una manifestazione ma un progetto. Con quale obiettivo?
Fondamentalmente, Il WeFree Day è stato un momento di inizio. Il nostro progetto si propone di aumentare, soprattutto nel mondo adolescenziale, la consapevolezza delle conseguenze drammatiche dell’uso di droga. Parlo di una visione chiara, a 360° gradi. Per riuscire a darla, miriamo a un’interlocuzione diretta con persone che hanno conosciuto direttamente il disagio, l’emarginazione, l’uso di sostanze, come accade anche negli spettacoli. Questo è il motivo per cui il network WeFree, che stiamo costruendo, è composto da istituzioni o da gruppi organizzati che operano sul territorio in luoghi difficili, lontani, a volte nascosti. L’idea di base è che questo movimento riesca a risvegliare, nei ragazzi come negli adulti, la consapevolezza che un cambiamento è possibile: dipende da noi e soprattutto “da te”. Devi fare la prima mossa, senza attendere decisioni dall’alto, senza aspettarti che, chissà da dove, arrivi un segnale. WeFree significa questo.

E’ in programma una campagna di comunicazione con immagini molto forti e testi espliciti. Puoi anticipare qualcosa?
La campagna si sviluppa secondo le modalità di intervento di WeFree. Vogliamo mostrare le conseguenze di ciò che erroneamente qualcuno considera un prodotto di svago o, addirittura, un diritto civile da tutelare. La campagna, quindi, è costruita su immagini reali, scattate in ambienti e situazioni reali, in paesi del Terzo mondo che pagano pesantemente il prezzo del nostro consumo di droghe. Si sarebbe potuto parlare della stessa cosa usando immagini metaforiche, come dire pubblicitarie, ma la realtà sa parlare meglio di qualunque artificio retorico. Ci rendiamo conto che, probabilmente, susciteranno qualche polemica, ma alla fine è proprio questo l’obiettivo: scuotere le persone dall’indifferenza e dar loro l’opportunità di pensare.


16 Novembre 2010
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