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Parla con me

“Dai, smetti di studiare che i secchioni non piacciono a nessuno!”. Non vedo l’ora di uscire e voglio che mia figlia finisca i compiti in fretta. Mentre pronuncio questa frase però mi blocco subito, vorrei che le parole tornassero in gola, invece è tardi e con la testa sono già al passato.

Quello che ho detto mi fa pensare. Pensare, già, a quanto una persona possa influenzare la nostra vita, a quanto qualcosa che abbiamo visto, fatto o sentito da bambini possa condizionare le nostre scelte future. Pensare a me bambina e a mio padre. Alle frasi che mi diceva e che a distanza di anni io non sono riuscita a cancellare. Parole a volte pronunciate per gioco, ma un bambino spesso non lo capisce. Parole dette per spronarmi, per farmi ottenere sempre di più, per spingermi a dare il massimo e che invece hanno sempre ottenuto l’effetto di non farmi sentire adeguata, mai abbastanza brava, mai abbastanza bella o simpatica, mai, mai abbastanza.

A volte non è quello che diciamo, ma come lo diciamo che fa la differenza. “Studiare ti servirà sempre nella vita” è diverso da “studia perché devi essere la più brava”. Arriva in un altro modo, senza aspettative, senza pretese e tu non arranchi disperato cercando di arrivare in cima, cercando di essere quello che nemmeno vuoi. Odiavo studiare, mi sembrava sempre di non riuscire e, quando ce la facevo, mi sentivo dire che non era abbastanza, che potevo fare di più. Ma davvero potevo? A volte gli adulti giudicano un figlio e continuano a valutarlo in base alle proprie aspettative, dure, rigide e non in base alla persona che hanno di fronte, alle difficoltà che ha superato, ai progressi che ha fatto. Io sentivo di deluderlo sempre.

Da bambino pensi che tutto ti sia dovuto, compreso l’affetto, soprattutto se dei tuoi genitori e non capisci quando non senti di riceverlo. Ti fai tante domande, ti dai le risposte, ma lo fai da solo, non vuoi turbare nessuno, ne chiedere niente. Pensavo… pensavo… a come non sempre l’amore da solo basti a far star bene chi abbiamo accanto. Io so e ho sempre saputo che i miei genitori mi volevano e mi vogliono bene. E io adoro mia figlia. Ma non è stato sufficiente. Non lo è stato per me perché non mi ha impedito di vivere male tante situazioni. E l’ affetto che ho sempre sentito per A. non è stato sufficiente a impedirle di star male. Perché anche lei ha creduto di non essere abbastanza. Come facevo io. La storia si è ripetuta, nonostante le promesse che mi ero fatta. Pensavo che un regalo coprisse un’assenza, che una telefonata cancellasse un vuoto, che un sorriso potesse far dimenticare un gesto sbagliato.

Pensavo che avrei avuto tempo di recuperare, come se quella bambina non sarebbe mai cresciuta. Pensavo che avrei potuto far finta di niente, che l’affetto di A. mi fosse dovuto. Un figlio deve amare un genitore e viceversa, è naturale, è giusto così. Forse anche mio padre la pensava in questo modo. Adesso ho scoperto come amare mia figlia, a tenerla vicino, ad abbracciarla; ho scoperto che potevo e dovevo parlarle. Che nei silenzi spesso si nascondono verità sbagliate, si credono cose sbagliate. Ho scoperto che ho la possibilità di costruire e di recuperare; che non si devono inseguire i propri fantasmi, ma combatterli.


21 Settembre 2009
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