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Paura di rimanere soli

La paura di restare soli, rende soli.
Questo è ciò che penso mentre ascolto le parole di Giacomo, quando racconta la sua storia. Una vita dove niente aveva peso, dove l’apparire aveva più importanza del vivere. Tutto è partito da una continua ed ossessiva domanda: sarò mai abbastanza?

Tutta quella sofferenza resa muta dalle risata dei ragazzini e dalle loro burle. Perché lui è diverso. Perché la sua famiglia non è quella perfetta che avrebbe voluto. Perché la sua lotta fra i “grandi” non è adatta al suo cuore troppo sensibile. Perché lui è tutto ciò che non voleva essere.
La sofferenza tace, ma non svanisce.
Lavora da sotto, come un’infezione, che pian piano pervade ogni pensiero rendendolo paranoia, riempiendo la testa di domande senza alcuna risposta.
Troppa la vergogna per far uscire quella paranoia, che si trasforma in odio, violenza e ribellione. Odio verso tutto e tutti, ma soprattutto verso se stesso.
Così comincia la strada verso l’oblio della solitudine.
Qualsiasi strategia per non dover sentire più quelle risata è lecita, qualsiasi comportamento buono o cattivo, nocivo o meno lui lo adotta, senza pensarci. L’importante è che quelle voci se ne vadano.

La ragazza più bella del quartiere gli porge la sua prima canna. Tanto è solo una canna, lo fanno tutti. L’amico d’infanzia gli vende la prima pasta. Tanto è una, lo fanno tutti. La compagnia lo invita al primo piccolo furto. Che vuoi che succeda, lo fanno tutti. Poi per caso, in una sera d’estate, in una serata spenta dove bisogna trovare qualcosa per passare il tempo, arriva lei. L’eroina. Ma tanto si fuma, non è da tossici, tanto provo una volta sola, che vuoi che sia, lo fanno tutti…

Il resto è nero. Lei ha la capacità di spegnere quelle voci ossessive, di cancellare quelle emozioni troppo forti per lui, ed è ciò che Giacomo ha sempre cercato.
Ma il prezzo da pagare è vivere per lei. Pian piano ritrovandoti solo, circondato da amicizie false e perdendo tutti i rapporti veri. E insieme a loro la dignità.
Forse quello che tutti fanno non è la soluzione giusta. Forse è solo la più facile.
Ha dovuto ritrovarsi a guardare la grata della cella per due anni prima di capirlo. Dopo due anni, dove la speranza di una vita era ormai sfumata, sente dei passi. E una voce.
“Sei pronto ad entrare a San Patrignano?”…e comincia così il suo cammino…

Ora Giacomo è qui accanto a me. Racconta la sua storia. E i ragazzi ascoltano attenti, e talvolta ridono. Ridono mentre parla di sè, di come si sentiva. Lui sorride. Perché quelle risate non gli fanno più male. Perché non si vergogna più di ciò che è e di dimostrarlo al mondo. Perché ora ha ricominciato a vivere.


8 Giugno 2012
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