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La strada della droga

Negli ultimi trent’anni, da quando il consumo di stupefacenti è esploso come fenomeno di massa nella società occidentale, sono stati prodotti numerosi studi scientifici ed epidemiologici sulla cannabis. Ricerche che ci mettono nelle condizioni di analizzare in modo non ideologico ma assolutamente pragmatico i costi sociali e sanitari dell’uso di droghe. Sappiamo, ad esempio, che hashish e marijuana provocano una dipendenza psicologica e anche fisica, agendo su recettori molto simili a quelli dell’alcol e degli oppiacei.

Sappiamo, ancora, che la quantità di principio attivo contenuto negli spinelli è sempre maggiore, a causa del lavoro di selezione delle piante svolto nelle coltivazioni in serra che ha portato all’immissione sul mercato di qualità sempre più potenti di questa droga.

Sappiamo che la cannabis provoca, tra i tanti effetti negativi, perdita della concentrazione e confusione mentale, sindromi amotivazionali e, come è ormai dimostrato, addirittura forme di dissociazione che possono aprire la strada a gravi problematiche di carattere psichiatrico, come la schizofrenia.

Sappiamo, soprattutto, che hashish e marijuana sono la porta d’ingresso per l’uso di altre sostanze. I dati epidemiologici sui 20 mila ragazzi passati in questi anni da San Patrignano, da tutte le comunità e da tutti i servizi pubblici, evidenziano come il 99,9 per cento di essi abbia iniziato il suo percorso di tossicodipendenza dallo spinello.

La strada della droga è sempre la stessa. Inizia con il naturale disagio dell’adolescenza e con il bisogno di essere accettati dagli altri, prosegue con il primo contatto con la marijuana e con la falsa sensazione che grazie ad essa si è migliori, va avanti con la ricerca di nuove emozioni, di uno sballo più forte come quello dell’ecstasy e della cocaina, finisce inesorabilmente con gli psicofarmaci per calmarsi e con la ‘mamma’ di ogni drogato: l’eroina.

Molti, dopo le prime esperienze, si fermano, ricominciano a crescere, scelgono altre strade. Per altri, i più fragili, i più immaturi, quelli con meno punti di riferimento ed opportunità educative, si apre una strada drammatica, a volte senza ritorno. Solo alcuni riescono ad essere accolti in comunità, perché le richieste superano di molto i posti a disposizione.

Noi non siamo scienziati, siamo semplici educatori. Da educatori sappiamo che per prima cosa dobbiamo trasmettere ai ragazzi il senso di ciò che è dannoso e di ciò che non lo è, di ciò che è lecito e di ciò che non lo è, attraverso la testimonianza del nostro esempio concreto. Troppi, anche nel mondo delle istituzioni, non si assumono questa responsabilità.


10 Novembre 2007
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