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Un trampolino sul vuoto

«Una volta che ti fai una canna è più facile andare avanti che tornare indietro». Simone è un ragazzo che pesa con il bilancino le parole che dice. Per questo quasi sorprende la fermezza con cui giudica un’esperienza che, dati alla mano, è comune a tanti giovani. «Con le canne entri nel mondo della droga e acquisisci sicurezza. Quando fumi ti senti in luna di miele, ti sembra che nulla possa andare male e questo ti spinge a pensare: “Perché non mi dovrei spingere oltre?”. Il problema è che poi non ti poni limiti». E’ così che Simone, a 18 anni non ancora compiuti, ha fatto ingresso al centro minori di San Patrignano. Ha chiesto aiuto quando proprio non ce la faceva più. Pasticche, coca ed eroina avevano preso il posto di quelle canne che ora allontana con sicurezza da sé: «Sarei matto a immaginare, una volta uscito di qua, di tornare a farmi una fumata. Per me è assurdo pensare che una canna non faccia nulla». Come Simone, almeno il 90% dei ragazzi entrati a Sanpa ha iniziato con hashish e marijuana.

Canne in compagnia
La maggior parte delle volte tutto comincia con una fumata in compagnia. «Era l’estate fra la terza media e la prima superiore quando con altri due amici – racconta Giosuè, un altro ragazzo di Sanpa, – comprai l’hashish da ragazzi più grandi per farci la prima canna». Da trasgressione di un momento, però, diventò un’abitudine: «In principio per me era solo un divertimento, un modo per stare in compagnia in maniera allegra, senza il pensiero dei pesi quotidiani. Poi nel giro di un anno presi a fumarne sempre più. Me ne facevo una prima di entrare a scuola, una nell’intervallo, una prima di pranzo e poi altre nel pomeriggio. Poi, per sballarmi di più, passai ai bong e ai cilum fino ad arrivare alle paste e alla coca».

Capita così, più spesso di quanto ci si possa immaginare, che da un’esperienza fatta per sentirsi più grandi, si ritrovano inguaiati fino al collo. E’ il caso di Matteo, oggi impegnato nel settore eventi: «Iniziai a soli 12 anni, facendo gli svuotini dei mozziconi di canna che io e i miei amici trovavamo per terra. Avevamo voglia di trasgredire e di farci riconoscere dalle persone più grandi. Era un modo per dire “io sono meglio di te”. Poi però iniziammo a comprarla, finché non decisi di venderla. Spacciavo per non esser costretto a cercare soldi e da lì iniziai a farmi anche tutte le altre sostanze».

Problemi fisici
Per tutti la voglia di essere accettati dai più grandi e di «sconfiggere la noia» come raccontano Simone e Giosuè, ma anche la consapevolezza dei problemi fisici che l’assunzione di queste sostanze comporta, come ammette lo stesso Giosuè: «Io non stavo bene se non fumavo, diventavo troppo irrequieto. Mi resi subito conto, senza dargli alcuna importanza, che la memoria a breve termine se ne stava andando. Non mi ricordavo che avevo fatto il giorno prima. Però fra amici ci scherzavamo su. Fra noi ci chiamavamo “rimastoni”. Poi ovviamente fui bocciato in prima superiore».

Effetti diversi per Matteo, ma non meno preoccupanti: «La cannabis mi rendeva passivo rispetto alla realtà esterna. Mentre i ragazzi della mia età, facevano sport e uscivano fra loro, io me ne stavo chiuso in casa. Ero alienato, ma allora credevo di essere io nel giusto». Un po’ la stessa cosa che succedeva a Simone: «Io volevo vedere i lati positivi e non quelli negativi, ma è certo che mi dava dei problemi. A volte tornavo a casa con la nausea, spesso ero in paranoia e mi succedeva di non ricordarmi le cose che avevo fatto cinque minuti prima. Mi rincoglionivo di brutto tanto che a 16 anni abbandonai la scuola».

Storie di droga che senza dubbio sono degenerate, ma che hanno avuto tutte un minimo comune denominatore. Anche per questo quando gli si chiede che cosa direbbero ai giovani che si fumano le canne non si perdono in inutili discorsi moralisti: «Semplicemente penso che non ne vale la pena – spiega Matteo – Non lo dico per una questione medico-scientifica, ma perché a me in parte mi ha ucciso. Non mi ha permesso di vivere nel giusto modo la mia adolescenza, un’età in cui avrei dovuto fare altro invece di farmi le canne». Parole a cui fanno eco quelle di Giosuè: «Una volta entrato a Sanpa il bisogno di fumare l’ho sentito eccome e per lungo tempo. Dopo il primo anno ero già convinto che non avrei più fatto uso di droghe pesanti, ma continuavo a pensare che in fondo una canna, una volta uscito, me la sarei potuta fare di nuovo senza problemi. Poi ho finalmente capito che si trattava comunque di un evadere dalla realtà. Dopo 4 anni e mezzo di comunità ho riscoperto tanto. Inizialmente l’esser lucido mi spaventava perché era dura vedermi come ero nella realtà. Invece ora ho riscoperto il piacere di fare le bischerate con i miei amici e le risate me le faccio grazie a una partita di pallone».


10 Marzo 2011
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