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Una nuova entrata

Capelli rossi. Lunghi. Rigorosamente spettinati. Potrebbe esserci un nido di vespe all’interno, ma la parola pettine sembra far paura solo ad essere pronunciata. Il viso però è dolce. E ha un bel sorriso. C. è arrivata solo da pochi giorni nella nostra stanza. Ma è già una di noi.

E’ così piccola, ti viene voglia di proteggerla, di coccolarla, anche se lei finge di non averne bisogno. Sembra una bambina. Una bambina che ha già vissuto e visto troppe cose per la sua età. A 17 anni dovresti trascorrere la mattina a scuola. Nel pomeriggio fare un giro con le amiche per i negozi, andare agli allenamenti di pallavolo. Dovresti saperti divertire, ridere, non essere in comunità.

La guardo bene, è un misto di ragazzina e di donna, di aggressività e dolcezza. Si vede che vuole apparire quello che non è: una dura. Piercing, maglietta piena di buchi. Si sente una ribelle. Mi sentivo anche io così. Convinta di poter spaccare il mondo da sola. Poi mi sono accorta che quel mondo spaccava me. E che da sola non arrivavo da nessuna parte.

Fuori ci saranno quattro gradi, ma lei non indossa il giubbotto. Non sente freddo. E poi la giacca è solo un ingombro e l’ombrello è da vecchi.
E’ spaesata. Chi non lo sarebbe. Io ricordo quando sono arrivata, le persone che mi camminavano a fianco. I visi che continuavo a confondere. Ragazze che continuamente si presentavano e io che restavo immobile senza sapere che dire. Impaurita e arrabbiata. Anche lei mi sembra così. Ha solo l’aspetto da dura.

Porta spille da balia al posto degli orecchini. Dice peste e corna sui suoi genitori che l’hanno portata qui. E’ un copione già visto e che io ho vissuto per prima. Tra pochi giorni piangerà per quanto gli mancano. Quei genitori che adesso crede di odiare. Il braccio è pieno di tagli. Un altro modo di farsi male. Di attirare attenzione. Un richiamo. Un disagio che si sfoga anche così. Oltre alla droga.

Ha una comunicazione da farci. Aspetta il giorno dei suoi diciotto anni e poi ci saluterà. Ci vuole bene, dice di essersi già affezionata e che questa decisione non dipende da noi. Ha già capito tutto. E da maggiorenne tornerà a casa. E’ sicura di quello che dice. A me fanno sorridere tante certezze. Ma lei deve sentirsi libera. Di rovinarsi la vita. Di fare scelte sbagliate. Di farsi male. I consigli le sembrano solo un limite. Non vuole ascoltare.

Noi le siamo vicine. Mi fa tenerezza. Perché mi rivedo. Mi domando se sarebbero riusciti a portarmi in una comunità. Allora non credevo di avere problemi. Volevo solo divertirmi. Almeno così pensavo. Mi sarei risparmiata un po’ di scelte sbagliate, un po’ di dolore. Ma è inutile rivangare il passato. Ormai è tale e non lo posso cambiare. Posso solo guardare avanti. E magari aiutare una ragazzina ad evitare qualche muro in cui io invece sono andata a sbattere, senza protezione. Facendomi davvero male.
Finche non sarà maggiorenne, tutte noi le staremo vicine, proveremo a farla ridere, lotteremo perché cambi idea. Perché capisca che non è facile, ma ci sono un sacco di cose per cui vale la pena cambiare vita. Può farlo con noi. Siamo tutte sulla stessa barca. Pronte a remare o a nuotare se si cade in acqua. A gettare salvagenti. A ripararci dal vento. Ad andare avanti, insieme.


13 Dicembre 2009
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