Sento caldo, è un abbraccio sicuro che mi avvolge.
Tiro su i piedi sul divano e mi faccio piccola piccola tenendomi le ginocchia al petto.
Non mi sento più sola ma attorno a me c’e il silenzio e il vuoto.
Tutto però si interrompe perché qualcuno bussa alla porta e mi riporta alla realtà. Chi può essere?
Forse uno spacciatore che chiede i suoi soldi, forse qualche tossico come me che cerca un favore; questa casa la conoscono tutti, è un porto di mare dove approdano i disperati per condividere insieme lo sballo e niente di più, ma questa volta invece è qualcuno di diverso che bussa alla mia porta, è mia mamma.
Sento la sua voce, continua a bussare, chiede di entrare, di vedermi, ma la casa è un casino, è sporca: sigarette, cenere, cucchiai anneriti e bottiglie vuote.
Vorrei tempo per decidere cosa fare e guardo la tavola e la porta, la finestra e il divano…
Alla fine decido di aprire, penso di riuscire come sempre a mandarla via con qualche parola, qualche bugia, ma questa volta non va così perché è chiaro dalla mia faccia e dai lividi che ho sulle braccia che sono di nuovo a terra, solo che sono troppo allucinata per rendermene conto.
I suoi occhi mi fissano e il tempo si ferma.
Non passa nemmeno un minuto che si appoggia al muro, scivola in terra e scoppia a piangere lasciandomi ancora con la mano sulla maniglia della porta, poi si calma subito, accende una sigaretta, si fa seria, fredda e l’unica cosa che riesce a dirmi in quel pomeriggio è questa:
“Scegli, o vieni con me o esci dalla mia vita una volta per tutte. Io non c’e la faccio più.”
Non era niente di nuovo per me, ma quel giorno forse, per la prima volta in me si è mosso qualcosa.
Ho riguardato la casa e poi lei così sofferente e impotente davanti a me e in un attimo ho deciso.
“Aiutami.”
Abbiamo fatto tutto in pochi minuti, gettato ogni cosa fosse mia in delle borse senza prestare tanta attenzione: cd, scarpe, trucchi e qualche vestito, tutto insieme, poi abbiamo caricato l’auto.
Ho spento la luce di casa e chiuso la porta.
Lo sbattere delle portiere della macchina mi ha riportato alla realtà, sono sobbalzata sul sedile ed ho capito quello che avevo fatto, ho capito che mi ero incastrata da sola, con le mie stesse mani e le mie stesse parole e con gli occhi sbarrati ho fissato mia mamma. Una parte di me era già pentita di aver chiesto aiuto, forse la parte più grande, ma le porte della macchina si erano già chiuse e noi ormai eravamo partite per quello che sarebbe stato per me il viaggio più lungo ed unico di tutta la mia vita, quello verso San Patrignano.
Giorgia