Dona ora Acquista i prodotti

Carcere: non paga il condannato ma la società

Solo i detenuti accolti a San Patrignano hanno evitato quasi 300 milioni di euro di spese. Sono i dati da cui ha preso spunto il primo dibattito dei WeFree Days 2014.

Davanti a un folto pubblico composto in gran parte da studenti, il panel di apertura dei WeFree Days 2014 svoltosi stamane è stato dedicato a un delicato e importante tema spesso strumentalizzato: l’inutilità e anzi la dannosità del carcere per i tossicodipendenti e, quindi, la necessità di attivare misure alternative effettivamente finalizzate al loro recupero.

Un tema sul quale la Comunità di San Patrignano è in grado di produrre numeri assolutamente unici in Italia.
Dal primo gennaio 1980 al 30 settembre scorso, infatti, Sanpa ha accolto 3.844 persone tra arresti domiciliari, affidamento sociale e detenzione domiciliare, in sostituzione di 1.387.669 giorni di carcere che, calcolando un costo (inferiore alla realtà) di 200 euro al giorno, hanno permesso un risparmio per la collettività di 277.635.800 euro. Nel solo 2013, 190 persone hanno scontato in Comunità pene per 41.915 giornate e di conseguenza lo Stato ha risparmiato 8.383.000 euro.

Altri numeri significativi sono stati forniti – durante il dibattito moderato da Massimo Gagliardi del Resto del Carlino – da Nicola Boscoletto, responsabile della cooperativa Giotto di Padova, una delle realtà di eccellenza nel recupero dei detenuti mediante il lavoro.
“Su 54 mila detenuti italiani, la cui recidiva reale è del 90%, quelli che effettivamente lavorano sono appena 700 e presentano una recidiva del 2%. Ogni euro investito in rieducazione consente un risparmio di nove euro: per questo realtà come la nostra e San Patrignano dovrebbero essere considerate normali e non eccezionali”.

La difficoltà di ampliare questi modelli virtuosi è stata illustrata da Riccardo Turrini Vita del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria: “La misura alternativa in passato è stata intesa soprattutto come libertà condizionale, l’affidamento in prova ai servizi sociali è utilizzato soprattutto dagli anni ’70, mentre dagli anni 2000 si è ampliato il ricorso alla detenzione domiciliare.
In realtà in Italia non abbiamo numero di detenuti particolarmente alto, il problema sono i tempi di attesa del giudizio e le condizioni di detenzione”.

Gian Luca Malavasi, avvocato bolognese che affianca l’Ufficio legale di Sanpa, ha evidenziato come, “nonostante la Costituzione italiana ponga chiaramente l’accento sul fine rieducativo, il limite di sei anni di pena entro cui si possono applicare le pene alternative sia insufficiente per i ragazzi con problemi di droga, che spesso ne accumulano di superiori.
Con l’esito paradossale di persone che stavano svolgendo un positivo percorso in Comunità e sono stati arrestati e riportati in carcere al sopraggiungere di un’altra condanna”.

Ma il convegno “Dal carcere per ricominciare” è stato l’occasione per un importante confronto delle esperienze a livello internazionale.

Jean Hine, criminologa dell’Università di Leicester, ha illustrato il progetto europeo Stream, cui partecipa anche Sanpa. “La valutazione delle esperienze compiute qui ci ha aiutato a comprendere la varietà delle motivazioni in base a cui, completato il programma di recupero, si può decidere di restare in Comunità o andarsene: dal disinteresse o addirittura rifiuto del lavoro fino, all’opposto, al desiderio di cogliere la possibilità di una formazione professionale. I fattori motivazionali sono molti e quindi anche un’esperienza positiva non sempre può essere applicata ad altre persone”.

Sull’esigenza di modulare i percorsi a livello individuale ha insistito anche Jamey H. Hueston, Giudice statunitense e vice presidente della National Association of Drug Court Professional: “Il sistema giudiziario può fare molto se comprende che non c’è un unico trattamento valido per tutti.
Nel nostro modello alternativo ci occupiamo di tenere assieme aspetti diversi quali alloggio, lavoro, assistenza sanitaria, salute mentale, trasporti… Io incontro le persone che seguo almeno due volte al mese e l’approccio è opposto a quello di una normale corte di giustizia: siamo un luogo di aiuto e non un posto che incute timore, per esempio applaudiamo e facciamo piccoli doni in caso l’imputato porti un’esperienza riabilitativa di successo. Il carcere va applicato nei minimi casi e termini indispensabili”.

Il giurista belga Jorn Dangreau ha portato invece l’esperienza della Drug Treatment Courts di Gand, in Belgio, anch’essa impostata a una “filosofia creativa che sposta l’attenzione dal crimine alla persona, vigilando sul comportamento dell’imputato e differendo i tempi di giudizio in funzione del percorso riabilitativo”.

Infine, Roberto Leonardi ha dischiuso una possibile strada per il reperimento delle risorse, quella di Banca Prossima: “Abbiamo 53 mila imprese sociali come clienti, circa 8 miliardi di raccolta e tre di prestito, che diventa problematico solo per l’un per cento, quando la media bancaria è del 20.
L’attenzione alle persone va coniugata con quella alla qualità di prodotti e servizi realizzati al terzo settore, al quale noi consentiamo di disporre dei finanziamenti necessari per la programmazione pluriennale delle attività”.


10 Ottobre 2014
condividi
Iscriviti alla Newsletter e resta in contatto con noi!