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Umberto Galimberti: due o tre cose che i genitori dovrebbero sapere

Non sono nemmeno i nostri migliori amici, perche’ anche quando si atteggiano a tali, e magari lo fanno davvero con il cuore, o con la disperazione di chi non sa che altre carte giocare, in realta’, starebbero capovolgendo i principi base della pedagogia, insomma, anche in quel caso farebbero dei danni.“I genitori sono sostanzialmente impotenti – spiega Umberto Galimberti – perché la loro cura arriva fino a 10-11 anni e nel frattempo in questo lasso di tempo fanno dei disastri pazzeschi. Le liti in casa sono all’ordine del giorno, per non parlare di amanti e dissolvimenti famigliari”.

Fare il genitore e’ difficile, si sbaglia sempre, ma mai come oggi, di fronte ad un’epidemia di disordini della mente e del corpo, la relazione genitori figli e’ stata messa cosi’ a dura prova. Da un lato gli adolescenti e il loro disagio, dall’altro i genitori e il loro disorientamento.

Negli USA, il paese che quanto a trend e fenomeni a ricaduta globale funziona come una sorta di colonnina di mercurio, lo stato di salute degli adolescenti non e’ proprio dei migliori: 10 milioni di loro assumono psicofarmaci per depressione, deficit di attenzione e disturbi dell’umore. Malesseri che spesso si riversano tra le mura delle scuole dove 30 su 100 dichiarano di essere sono stati coinvolti in episodi di bullismo nell’ultimo anno. Con il tempo, superato il periodo caldo dei 18 anni, le cose non si mettono necessariamente meglio. Quella universitaria e’ la fascia di popolazione con il piu’ alto consumo di alcol e droga.
Cattivi ragazzi figli di genitori incapaci? Non necessariamente. “Essere un buon genitore non significa non sbagliare mai – spiegano i counselor di Family Help Line, una sorta di telefono azzurro per genitori stressati e in crisi – quello che puoi fare e’ solo fare del tuo meglio,  fornire a tuo figlio supporto e incoraggiamento affinche’ trovi la sua strada”.

“I genitori sbagliano, ma ci sono una o due cose che possono tenere in mente per ridurre i danni. La prima e’ la necessita di accettare accettare il figlio per quello che è. Un’accettazione non proclamata, interna. “Volo ut sis”, diceva Sant’Agostino,  voglio che tu sia quello che sei, non quello che io prevedo tu debba essere. Poi, occorre che i genitori riconoscano il valore che i giovani pure hanno, perché prima di distruggersi qualche spunto positivo ce l’hanno e questi vanno rinforzato. Infine, bisogna tenere aperta la comunicazione qualunque cosa accada, la comunicazione intesa come interessamento vero di quello che il proprio figlio sta facendo e cercando di comunicare”.

A giudicare dai dati sul male di vivere nel nostro paese, la strada da percorrere sembra ancora lunga. Secondo una ricerca realizzata dall’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa in collaborazione con ESPAD (European School Project on Alcohol and other Drugs) oltre a quelli di droga e alcol, sarebbero in crescita anche i consumi di psicofarmaci, specialmente tra i ragazzi di 15 e 16 anni. In pratica, 1 su 10 ragazzi italiani è ricorso almeno una volta al loro uso senza ricetta. Dato che pone l’Italia al quarto posto tra i 35 paesi che hanno partecipato all’indagine che ci porta alla domanda: dove si procurano gli psicofarmaci dato che da banco non ce ne sono e per legge il farmacista non può dispensarli senza ricetta? La risposta e’ in casa, nel bagno di mamma e  papa’, da quella vetrinetta che nell’ultimo paio di anni sembra essere particolarmente fornita. Secondo dati Federfarma, dal 2006 il consumo di antidepressivi su ricetta medica e’ cresciuto dell’8% insieme a quello degli antidolorifici, aumentato del 17.5%.

Insomma, intere famiglie appese alle pillole, come sollievo ad un malessere troppo grande da sopportare e come via di uscita a problematiche dove figli e genitori spesso non sono che i due estremi dello stesso nodo.

Non siamo piu’ in grado di reggere il dolore – spiega Galimberti – Una volta c’erano i riti iniziatici, da noi era rimasto il militare, ma poi hanno tolto pure quello. Nel Mali i ragazzi vengono espulsi dalla tribù a 13 anni, devono dimostrare di essere in grado di sopravvivere senza assistenza: qualcuno muore, qualcuno si fa male, qualcuno torna e viene incluso nel gruppo degli uomini.

Penso che i nostri ragazzi, maschi e femmine, quando arrivano a 18 anni, dovrebbero dedicare un anno ai servizio sociali, in maniera seria, dando da mangiare ai poveri in Africa, facendo assistenza ai vecchi. Si tratta di ripensare certe modalità di crescita all’interno di un bambagismo generalizzato e diffuso dove tutto è facile e piacevole. I luoghi del dolore vanno conosciuti subito, solo cosi’ ci si puo’ attrezzare psicologicamente. Altrimenti, come posso pensare di reggere il dolore se non l’ho mai conosciuto? E quando lo conosco mi suicido?!”


17 Aprile 2009
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